Arte Sacra

“Lo scopo dell’arte è la ricerca della bellezza nelle sue diverse manifestazioni.

L’arte è la fedele testimone di quella grande opera umana che chiamiamo cultura. In tutte le grandi opere della letteratura universale, nelle opere dei geni della musica, della pittura, della scultura e dell’architettura è presente la Gnosi.

Ritroviamo l’arte gnostica in tutti gli insediamenti arcaici, nelle piramidi e in tutti i vecchi obelischi dell’Egitto dei faraoni;  nell’antico Messico, tra i Maya e nei resti archeologici aztechi, zapotechi, toltechi ecc.; nelle vecchie pergamene cinesi, medievali, fenicie, assire ecc.; nei geroglifici e nei bassorilievi dell’antico Egitto; nelle pitture e nelle sculture di Michelangelo, nella Gioconda di Leonardo; nella musica di Beethoven, Mozart, Liszt, Wagner; nella letteratura universale: nell’Iliade e nell’Odissea di Omero, nella Divina Commedia di Dante e in moltissime altre opere che contengono gli stessi princìpi della saggezza universale presentati in maniera diversa e a volte occultati sotto il velo del simbolismo filosofico.”

Samael Aun Weor

L’Arte Sacra è una delle colonne della Gnosi. In che modo l’Arte può parlarci di noi stessi e dell’Universo? Come può una mescolanza di colori su una tela o un blocco di marmo metterci in comunicazione con il divino? Prima di addentrarci nella parola “arte”, facciamo una breve riflessione, che ovviamente in questa sede peccherà di semplicismo data la profondità dell’argomento, sulla parola “sacro”.

Cos’è il “sacro”? Non è così banale dire che si tratta del contrario del profano. Non c’è sacro senza profano, l’uno delimita il confine oltre il quale gli affari terreni dell’uomo non hanno più importanza, disegnando il perimetro della “casa di Dio” (usiamo qui il termine “Dio” nel suo senso più ampio, come forza primordiale e generatrice). Eppure Dio non ha una “casa”, Dio abita in tutte le cose, Dio non è “sacro”, Dio è Dio e basta. Quindi “sacro” è un concetto tutto umano che non ha niente a che fare con Dio; è invece il luogo (fisico, metafisico o metaforico) che l’uomo crea e al quale decide di destinare il suo dialogo con l’Essere superiore. Dio ci ascolta ovunque ma noi abbiamo difficoltà ad ascoltare Lui in un luogo qualsiasi, tanto siamo sommersi dal caos della vita orizzontale, e abbiamo così bisogno di un angolo dove tutto ciò che è profano non può entrare e che dedichiamo esclusivamente all’ascolto interiore. Questo luogo può essere una chiesa, un tempio, una sinagoga, una moschea, un albero, un fiume, etc. Ma se Dio è in tutte le cose, Dio è dentro l’essere umano. Così l’energia che l’uomo mette nel luogo di culto, la carica di volontà e di preghiera, trasforma quelle pietre, quel terreno, quella stanza, quell’edificio, quell’albero o qualunque sia il luogo scelto, in un posto sacro. Esso si carica davvero di magia, in quanto diviene il luogo dove l’uomo può elevare se stesso, abbandonare le sue spoglie animali e ricordarsi della sua natura divina. È in questa trasformazione che avviene, si crea, si concretizza il “sacro”. Così ad esempio possiamo creare un tempio nella nostra casa, dedicando un angolo o un’intera stanza alla preghiera. Se quest’area è spoglia di oggetti che troppo ci ricordano il caos della nostra vita orizzontale e se quando vi accediamo riusciamo davvero a spogliarci di noi stessi, dei nostri pensieri, delle nostre ansie e delle nostre emozioni inferiori, dimenticandoci di noi stessi, inondando quel luogo delle vibrazioni della preghiera e riuscendo a diventare antenne di energie cosmiche superiori, allora quel luogo diventa sacro, perché è il luogo dell’ “ascolto”. Allo stesso modo può accadere con gli oggetti, se essi ci ricordano la nostra natura divina. Andiamo così oltre l’idolatria, nella quale spesso si cade anche quando non la si accetta, perché non è l’oggetto in sé ad essere sacro ma siamo noi a renderlo tale nel momento in cui ci rapportiamo con esso ricordandoci dell’Essere.

È questo il vero ruolo dell’Arte, parliamo di quella regia, vera, divina, “sacra” appunto. Perché alcuni dipinti o sculture di epoca antica o addirittura arcaica hanno ancora così grande impatto sull’uomo contemporaneo? Perché invece altre opere considerate d’arte eseguite in età più recente o appena nate, non vengono invece capite dalla maggior parte delle persone, esclusi gli artisti stessi o chi lavora nel settore, che quasi si vanta di riuscire a fruire di un tipo di bellezza non accessibile a tutti? È davvero necessaria una preparazione intellettuale per poter intendere il concetto di “sublime”? È indispensabile studiare per emozionarsi? Queste sono le domande che minano le fragili basi dell’arte contemporanea, frutto di una fin troppo evidente degenerazione del nostro contatto con il divino. La risposta non è purtroppo semplice, dato che il concetto stesso di arte varia di epoca in epoca. Bisogna quindi concentrarsi sull’elemento che resta invariato: l’emozione, inspiegabile e sorprendente, dell’essere umano davanti ad un oggetto creato dall’uomo stesso. Se le abitudini, la cultura, i costumi, cambiano di epoca in epoca e l’uomo viene trascinato in questi cambiamenti e varia anch’egli a seconda del momento in cui vive, quell’emozione resta invece sempre uguale, e ciò permette alla storia stessa di fare una selezione dei lavori che verranno ricordati e tramandati alle generazioni successive. Così certe opere d’arte riescono a creare un collegamento con il divino in tutti gli uomini di qualsiasi razza, religione, livello d’istruzione ed epoca di appartenenza, superando le grandi prove del tempo e dello spazio.

Seguendo questo ragionamento non ci è difficile affermare che, così come non è sacro il luogo in sé ma lo è il dialogo dell’uomo con Dio che esso suscita, allo stesso modo una qualsiasi opera non ha in sé un valore intrinseco, ma è invece l’emozione superiore del fruitore in relazione ad essa a creare Arte, ridimensionando così drasticamente il sopravvalutato merito dell’artista. Senza addentrarci troppo in ulteriori disquisizioni sull’arte, in questa sede mi preme esclusivamente sottolineare che quel brivido, quel cuore caldo, quello stupore, quel dimenticarsi per un attimo di se stessi e dei propri problemi, quando ci si trova ad esempio davanti alla scultura del Cristo Velato di Giuseppe Sammartino, può aiutarci a capire l’emozione che deve destare dentro di noi l’Arte Sacra.

Concludiamo con una citazione di Cesare Pavese:

“Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra che già viviamo e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.” (C. Pavese).

Quando godiamo di un’opera d’arte cerchiamo immagini, segni, colori, note o storie che facciano vibrare qualcosa in noi. Ciò vuol dire che l’arte non è tanto l’oggetto in sé ma la reazione animica che essa scatena; l’Arte Sacra non è nella materia ma nell’anima: è ricordo di Dio attraverso la materia.

Accademia Gnostica Torino