L’esoterismo di Botticelli
Il 1 Marzo del 1445 nasceva Sandro Botticelli. Come è risaputo, si tratta di uno degli artisti più importanti della storia dell’arte moderna e di tutto il Quattrocento; quest’uomo, attraverso le proprie opere, ha scritto un pezzo di storia dell’arte italica ed anche di quella mondiale. Come tutti i più grandi capolavori dell’umanità, le sue opere hanno più livelli di lettura, alcuni dei quali fortemente esoterici. Se per alcuni lettori l’accostamento della figura di Botticelli all’esoterismo può sembrare azzardata, iniziamo con una breve introduzione.
Siamo in pieno Umanesimo e proprio in quegli anni il monaco Leonardo da Pistoia aveva consegnato il Corpus Hermeticum a Cosimo de’ Medici, opera composta da scritti dell’antichità che rappresentò la fonte di ispirazione del pensiero ermetico e neoplatonico rinascimentale. Il contesto esoterico in cui si muoveva l’artista era inoltre fortemente influenzato da Marsilio Ficino, filosofo, umanista e astrologo di primo piano della cultura rinascimentale. Egli intravedeva nella sapienza antica del Corpus Hermeticum la presenza di una rivelazione, di una “pia philosophia” che si era condensata nel Cristianesimo ma nella quale l’umanità di tutti i tempi era sempre stata partecipe. Botticelli faceva inoltre parte della “Compagnia di San Luca”, la confraternita degli artisti a Firenze.
In questo clima di forte unione tra arte, pensiero ermetico e neoplatonismo, l’artista ha seguito quasi certamente un iter di preparazione iniziatica per rivestire il ruolo di Gran Maestro del Priorato di Sion e per diventare poi il pittore ufficiale della Famiglia Medici e dell’Accademia fondata da Ficino. Le conoscenze acquisite in questo percorso sono state riversate e celate anche nelle sue opere.
Nella sua biografia leggiamo che:
“In età matura si manifesta in lui un mutamento: l’armonia velata di malinconia che lo ha finora contraddistinto si trasforma in una sofferenza drammatica, inquieta, in una sorta di ricerca di intensità mistica.”
da cui si può dedurre che abbia percorso una strada di conoscenza segreta dell’intimo umano, almeno questo è quello che traspare da uno dei suoi quadri più importanti, “la Primavera”.
Al centro della scena della Primavera è la dea dell’amore Venere, che si erge vestita in mezzo a un bosco di aranci verdeggiante di infinite specie vegetali, accompagnata da in alto da Cupido bendato; alla sua sinistra il vento di Primavera Zefiro rapisce per amore la ninfa Clori. Unitasi al vento, Clori rinasce nelle forme di Flora. A destra di Venere danzano le tre Grazie, mentre Mercurio scaccia le nubi.
Il dipinto è senz’altro un inno alla nascita e alla bellezza. La vita palpita nei drappeggi fluttuanti, negli occhi languidi, nei capelli dorati e nella ricca flora che incornicia la scena. Questo già ci rapisce e fa sì che il nostro sguardo rimanga incollato nel godimento estetico di tutti i particolari. Ma andiamo più in profondità, facendo riferimento alle conoscenze esoteriche tramandateci da Samael Aun Weor.
Notiamo anzitutto che nel dipinto vi sono nove figure. Il 9, come ci insegna Samael Aun Weor, è un numero estremamente simbolico e rappresenta la nascita spirituale.
“Nove mesi rimane il feto dentro il ventre materno e nove età sono necessarie nel ventre di Rea, Tonantzin, Cibele, ossia la Madre Natura, affinché nasca una “umanità planetaria”.”
Samael Aun Weor
Iniziando a leggere il dipinto da destra verso sinistra, vediamo Zefiro che rapisce Clori. Zefiro è il vento, il soffio, lo Spirito Santo. Egli feconda la materia che rinasce sotto forma di divinità, Flora, dea della primavera e della fioritura. Si tratta di Madre Natura o Grande Madre, antichissimo archetipo presente dentro di noi, paragonabile ad un atanor, il forno nel quale gli antichi alchimisti, filosofi del solve et coagula,“cuocevano” i loro metalli con l’intento di trasformare il piombo in oro. Il fuoco che alimenta quel forno fa levitare innumerevoli scintille dalla oscura, inaccessibile dimora nella quale si aggira la Grande Madre indirizzando, discretamente ma inflessibilmente, la vita dell’Uomo.
Botticelli la dipinge infatti con una mano sotto il grembo e con l’altra nell’atto di cospargere fiori, che come scintille nascono dal suo ventre e si posano sulla terra, emergendo cromaticamente sul verde scuro del prato. Dalla Madre Terra si passa all’archetipo femminile più elevato, la Divina Madre, qui raffigurata come la dea Venere. Ella è la nostra guida interiore, la nostra madre intima, fonte di poteri al tempo stesso terribili e divini. È dipinta più in alto rispetto alle altre figure e il suo basso ventre è il centro geometrico della scena. Il suo manto è rosso come il mercurio sublimato e i suoi lineamenti superano in grazia e dolcezza quelli di Flora, il cui volto, seppur meraviglioso, è ancora vincolato allo scorrere del tempo. La vegetazione alle sue spalle ci regala un suggestivo controluce, evocando nel contrasto tra il fogliame e il cielo la forma dei polmoni umani: ciò fa respirare l’intera opera e ci fa pensare nuovamente al “soffio divino”, già simboleggiato da Zefiro. Al centro dei polmoni, la Venere si trasforma nella colonna vertebrale, assumendo così il ruolo di Divina Madre Kundalini, l’energia femminile arrotolata e dormiente che, una volta sveglia, risale lungo il canale midollare. In Venere ritroviamo inoltre l’iconografia della Vergine, sul cui capo volteggia, invece della colomba, il piccolo Cupido, rappresentazione dell’Amore puro e spirituale. Con l’arco e la freccia forma una X, la croce di Sant’Andrea, antico e potente simbolo esoterico che ci parla di come percorrere il cammino. La freccia dell’Amore è puntata verso la figura centrale delle tre Grazie, sulle quali potremmo spendere innumerevoli pagine. Ricordiamo solo che le ritroviamo in tutte le culture sia indo-europee (le tre Grazie, le tre Parche, le Tre Marie, la Dea Triplice della tradizione Indù, dei Sufi, le tre figlie di Allah (la dea, il potere, il fato) come in quelle africane e asiatiche. Il tre è un numero altamente simbolico, così importante da renderci impossibile di sintetizzare il suo significato in questa sede. Riportiamo solo queste parole del Maestro Samael:
“Il Ternario, il numero tre, è molto importante. È la parola, la pienezza, la fecondità, la natura, la generazione dei tre mondi.”
Infine, all’estremità sinistra del quadro, vi è Mercurio, il mediatore tra gli uomini e gli dei. Il suo caduceo, chiamato anche “Il bastone alato del dio Hermes”, è un simbolo antico rappresentato da due serpenti attorcigliati attorno a un bastone. Essi rappresentano le forze duali di questo mondo: il positivo e il negativo, il maschile e il femminile, il bene e il male; incontrandosi conciliano gli opposti facendo nascere le ali, simbolo della visione unica che abbandona il conflitto interno dell’essere umano nel mondo materiale duale. Secondo la cultura orientale il Caduceo rappresenta anche l’energia sessuale risvegliata e trasmutata che prende nome il di Kundalini. La simbologia del mercurio come elemento è estremamente ampia e complessa, in questa sede ricordiamo solo che assieme al sale e allo zolfo, gli alchimisti lo consideravano una delle tre sostanze primordiali, a partire dalle quali era possibile costituire tutti gli altri elementi.
La Primavera di Botticelli è uno dei dipinti più famosi al mondo. Nella nostra vita l’abbiamo visto innumerevoli volte nei luoghi più disparati. Possiamo quindi aver perso il senso di meraviglia e di stupore che quest’opera dovrebbe suscitare, poiché ci siamo “abituati” a tale bellezza e il nostro sguardo è diventato meccanico. Dopo questa breve analisi dell’opera, invitiamo quindi il lettore a guardare con occhi nuovi questo capolavoro, accompagnandosi magari con questi versi di Angelo Poliziano:
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Né mai le chiome del giardino eterno
tenera brina o fresca neve imbianca;
ivi non osa entrar ghiacciato verno,
non vento o l’erbe o li arbuscelli stanca;
ivi non volgon gli anni il lor quaderno,
ma lieta Primavera mai non manca,
ch’e suoi crin biondi e crespi all’aura spiega,
e mille fiori in ghirlandetta lega. […]77
Con tal milizia e suoi figli accompagna
Venere bella, madre delli Amori.
Zefiro il prato di rugiada bagna,
spargendolo di mille vaghi odori:
ovunque vola, veste la campagna
di rose, gigli, violette e fiori;
l’erba di sue belleze ha maraviglia:
bianca, cilestra, pallida e vermiglia.
Bibliografia:
“Tarocchi e Cabala”, Samael Aun Weor
“Arte. Una storia naturale e civile”, S. Settis, T. Montanari
“Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri”, G. Vasari
“Poesia italiana. Il Quattrocento”, a cura di C. Oliva